Al Ferrara Sharing Festival Andrea Pugliese racconta come cambia il mondo del lavoro

Sharing Economy e nuove professioni,
dallo specialista di relazioni 
all’experience designer

protagonisti_pugliese_andreaSe non è sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico non è sharing economy, è una furbata che genera nero“. Parola di Andrea Pugliese, Co-Fondatore di Impact Hub Roma, esperto di politiche di sviluppo locale e di processi di social innovation, che al Ferrara Sharing Festival racconterà come cambia il mondo del lavoro gettando uno sguardo alle possibili professioni del futuro.

Argomenti di grande attualità, le nuove professioni e le piattaforme di sharing sono fra i temi che verranno approfonditi nel corso del Ferrara Sharing Festival, organizzato da Sedicieventi con il patrocinio del Comune dal 22 al 22 maggio 2016 nel capoluogo estense. Ospiti anche altri autorevoli relatori che, insieme a Pugliese, allargheranno la riflessione all’intero mondo sharing, fra economia e innovazione.

Di seguito l’intervista integrale

Qual è la sua personale definizione di sharing economy?

La sharing economy, modello economico alternativo basato sulla collaborazione e condivisione fra pari, può essere davvero considerata tale, solo se è pienamente sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Se non risponde contemporaneamente a questi tre requisiti, non è sharing economy: è una furbata che genera nero.

Perché la sharing economy è un’opportunità?

Innanzitutto perché consente a chi è uscito dal mercato del lavoro – e spesso resta tagliato fuori dai sistemi di sicurezza sociale – di reinserirsi o per lo meno riavvicinarsi al mondo produttivo. Ma come dicevo, il valore della sharing economy non resta confinato al solo ambito economico. Questo nuovo modello economico ha il grande merito di ricreare una socialità che era andata perduta: ricostruisce il tessuto sociale nei centri urbani (come nel caso delle social street) e pone in relazione centri urbani e aree rurali (come nel caso dell’Alveare, la piattaforma che favorisce gli scambi diretti tra agricoltori e comunità di consumatori, creando piccoli mercati temporanei a chilometri zero). Senza dimenticare l’obiettivo fondamentale di rimettere in circolo l’eccesso: eccesso di spazi, di auto, di tempo…

In che modo la sharing economy sta cambiando le professioni?

Le professioni esistenti vanno sempre più permeandosi di una dimensione collaborativa, basti pensare agli spazi di coworking, luoghi di attrazione del talento e sviluppo del dialogo. Al contempo, grazie alla sharing economy si stanno affermando nuove figure professionali: lo specialista di relazioni, che accelera lo sviluppo della fiducia o la crescita della reputazione delle piattaforme, l’experience designer, che progetta l’esperienza di sharing dell’utente, il community manager, addetto alla gestione di una comunità virtuale.

Quali campi restano ancora da esplorare e di quali competenze necessitano le possibili professioni del futuro?

Credo che in Italia la sharing economy possa dare un grande apporto in ambito medico-sanitario e nel settore dei servizi alla persona, con particolare riferimento ai servizi di cura non professionali. Ritengo, inoltre, che possa essere ancora molto vasta l’applicazione nel settore dei trasporti.

La sharing economy sancisce il ritorno a una forte etica di collaborazione agevolata dalle piattaforme. Per questo, per le professioni del futuro, è indispensabile una formazione umanistica, unita a competenze tecnologiche.

Qual è il valore aggiunto di questo nuovo modello economico?

Le piattaforme sono uno strumento abilitante che consente alle persone di organizzarsi a basso costo con grande efficienza. Ma anche se l’esigenza di risparmiare è stata la molla che ha innescato la sharing economy, a farla crescere è il piacere di condividere esperienze e di conoscere nuove persone. Gli scambi culturali e le relazioni sono il vero valore aggiunto di questo modello economico.